Trentodoc: l'evento al Grand Hotel di Rimini
Non poteva esserci luogo più adatto del Grand Hotel – con la sua raffinata eleganza fuori dal tempo – per ospitare a Rimini la kermesse Trentodoc. Bollicine sulla città, che lunedì 2 maggio ha trasformato in realtà quello che per molti wine-lover del territorio era solo un sogno, ossia ritrovarsi con praticamente tutti i produttori di Trentodoc (50 su 63 esistenti, non male eh?) per poterne degustare i capolavori e avere uno spaccato esaustivo sulla situazione.
Prima Doc in Italia (nel ’93) per un metodo classico, nonché una fra le prime al mondo dopo lo Champagne, il marchio Trentodoc – le cosiddette “bollicine di montagna” – è davvero espressione diretta della terra che lo produce, quel Trentino dai mille volti che va dal clima alpino delle cime dolomitiche più impervie a quello mediterraneo dei pendii mitigati dall’Ora del Garda, fino al clima continentale di fondo valle. Un’unicità e un carattere che ritroviamo in ogni calice. Sarebbe d’uopo dunque serbare nella memoria il nome di chi, esattamente 120 anni fa, diede l’abbrivio a questa bella storia, il trentino Giulio Ferrari, un appassionato di bollicine e Champagne che colse le affinità pedoclimatiche tra la sua terra e la blasonata regione francese, arrivando a impiantare lo chardonnay in loco e ad attivare le tecniche della rifermentazione in bottiglia apprese durante i suoi viaggi-studio. Una tradizione ormai antica, dunque, che è oggi rappresentata da grandi e piccole realtà, tutte rivolte verso un unico scopo: fare vini da paura.
I Trentodoc si distinguono per un bouquet delicato e ricco, con aromi marcati di frutta bianca e fiori, con sensazioni di maturità ben espressa. L’avvertibile acidità (più tartarica che malica, più mela matura che mela verde) alimenta la freschezza in un rimbalzo continuo fra polpa e tensione. E tra l’altro il Trentodoc – che si ottiene dalla vendemmia di sole uve chardonnay, pinot nero, pinot bianco e/o pinot meunier – ha requisiti più rigorosi del metodo classico o del champenoise: il vino infatti deve essere fatto usando tecniche caratteristiche della regione, incluso il modo in cui le viti sono piantate, coltivate, potate e raccolte a mano. Ma torniamo a Rimini.
Nonostante il sold-out, nelle sale di degustazione del Grand Hotel ci si aggira agilmente e, dopo pochi assaggi, con un bel sorriso stampato in faccia. Potere della bollicina. Non sono riuscito a fermarmi in tutti i 50 stand (anche perché la sputacchiera è un oggetto che non concepisco e la cosa sarebbe risultata un po’ complessa), tuttavia una buona doppia dozzina l’ho messa a segno (privilegiando le versioni pas dosè, che adoro) ed è stato davvero molto divertente e interessante ascoltare dai diretti interessati le storie dei loro vini, le difficoltà di vendemmie a volte eroiche, la pazienza e la tenacia che negli anni hanno trasformato il Trentodoc in una delle realtà più importanti del paese. Parto, a caso, dal Conte Federico brut riserva 2018 di Conti Bossi Fedrigotti – d’altronde ho trascorso l’infanzia a Rovereto –, forte di un bel paglierino intenso, un bouquet fragrante e bella sapidità. E finisco con il Tananai Zero di Borgo dei Posseri 2016, pinot nero in purezza, i cui 50 mesi di permanenza a contatto con i lieviti donano importanza e struttura, intensità e persistenza. In mezzo, tra le tante bellezze, il Disio Blanc de Noirs 2017 di Spagnolli, paglierino con riflessi color limone, dall’ingresso in bocca deciso e netto; il De Tarczal brut sans année, che al palato ha una piacevole freschezza, con sensazioni fruttate e un finale sapido; il Blau Dorè 2017 di Pravis (affiliato Fivi), da pressatura soffice di pinot nero in purezza, che deve il suo nome all’unione di “Blauburgunder” e “Plant Dorè”, appellativi riservati, in Francia e in Germania, al pinot nero, che al sorso non tarda a rivelare freschezza, pulizia e setosità. Ma poi gli elegantissimi AlpeRegis pas dosè e rosè di Rotari, il Mirì di Mittestainer S.A., 100% chardonnay che riposa 36 mesi sui lieviti, con un perlage morbido ma persistente, o ancora il Valentini di Weinfeld Brut 2018, fresco e pieno, armonico, sapido, lungo ed elegante.
In buona sostanza, dunque, questo Trentodoc. Bollicine sulla città si è rivelato un instant classic, uno di quegli eventi che appena finito ti vorresti già prenotare per il prossimo. Con un piccolo consiglio: si dia la possibilità alle case spumantistiche di vendere le bottiglie negli stand.
Alessandro Fogli