Albana mia, senza di te non si può star!
di Matteo Paganelli
Nessun altro titolo sarebbe stato più appropriato per commemorare i 620 km spesi sabato 25 febbraio 2023 per assistere alla masterclass dell’Albana di Romagna condotta da ‘nientepopodimeno’ che Luca Matarazzo, campione in carica dell’ultimo Master dell’Albana (2022). Masterclass fortemente voluta dal consorzio dei Vini di Romagna, da AIS Abruzzo (nella persona di Giuseppe Garzarella, delegazione di Chieti) e da AIS Romagna (nella persona di Caterina Valbonesi, delegazione di Forlì).
Parliamo di Luca Matarazzo. È in forma strepitosa, sorridente, solare come sempre, e così come avviene per le tre stelle Michelin nel mondo del food, anche nel suo caso “vale il viaggio”. Personalmente sono veramente orgoglioso che sia lui a detenere il titolo, nonostante non sia un sommelier ‘nostrano’. Da quando ho iniziato il corso da sommelier, ma soprattutto da quando mi sono diplomato, ho capito una cosa essenziale. Ho capito che servono persone capaci di comunicare il vino. È questo il vero valore aggiunto di un sommelier. L’eterno dilemma del “non è buono ciò che è buono ma è buono ciò che piace” trova luogo in un mondo dove la soggettività la fa ancora da padrona. La figura professionale del sommelier è tenuta in un certo senso – e uso un gioco di parole – a oggettivare la soggettività. Per far ciò serve uno scheletro solido, un telaio di acciaio inox, che è la nostra formazione. Ma dentro a questo schema occorre saperci danzare, armoniosamente, per far capire ai nostri interlocutori che non stiamo recitando una filastrocca ma che stiamo dando voce al vino che vuole parlare di se stesso, della sua annata, del territorio e della mano di chi l’ha coccolato. Luca è un grande comunicatore del vino, un esempio stimolante per ognuno di noi.
Albana. Vitigno nobile con una storia antica che si districa fra fake news (Galla Placidia) e real news (Pascoli e Ungaretti).
Un vitigno capace di raccontare il territorio romagnolo sicuramente più di tanti altri, capace di scandire esattamente ogni vallata, ogni appezzamento di terra, ogni versante, ogni confine che sapientemente i fiumi sanciscono in direzione perpendicolare alla via Emilia.
Un vitigno che in vigna si comporta in modo maschile, molto nervoso, con vigoria sia nella vegetazione sia nel grappolo. Un “gigante di marmo con i piedi di terracotta” (cit. Elisa Mazzavillani, Marta Valpiani Winery) con tralci lunghi che si spezzano facilmente ma che se teneramente accuditi ambiscono il sole e il caldo cercandolo verso l’alto. Però nel calice è assolutamente femminile, con le sue carezze olfattive che ci fanno venire le farfalle allo stomaco, sorso godereccio e mai impegnativo.
Un vitigno definito anche una macchina da zuccheri, l’ultimo a germogliare (utile per schivare le gelate primaverili) ma anche il primo a maturare (a indicare l’alta concentrazione zuccherina).
Un vitigno versatile, capace di adattarsi a vinificazioni in acciaio, in anfora, in legno, capace di esprimere la sua anima in molte sfaccettature, partendo dal metodo classico e arrivando al passito riserva. Arma a doppio taglio perché… che cos’è l’Albana? Questa sua eterogeneità rischia di far perdere le tracce del suo DNA fra un calice e l’altro.
Cinque le Albana in degustazione:
- Poderi Morini – Sette Note – Faenza
Si aprono le danze con il vino di Alessandro. Alla mescita, l’aspetto visivo appare pallido auspicando un vino “semplice”; qual più ingannevole conclusione perché poi portato al naso esplode in sentori di pesca bianca, melone, macchia mediterranea, e aromi balsamici. Si avverte anche una vena salmastra. In bocca è caldo, di struttura, masticabile e con alcol ben integrato. Sulle durezze la fa da padrona la freschezza tipica dei vini coltivati su sabbie gialle.
- Celli – I croppi – Bertinoro
Si cambia territorio per andare a trovare Bron e Rusèval (soprannomi dialettali degli storici fondatori Sirri e Casadei, tradotti ‘lo scuro’ e ‘le gote rosse’ ad identificare in modo buffo i tratti che li contraddistinguevano).
Il colore vira su un paglierino molto intenso con nuance dorate. Al naso è più vegetale che fruttato, le erbe aromatiche la fanno da padrone e il frutto esalta note citrine che si confermano nella freschezza che poi troviamo al sorso. La sua estrema verticalità è merito dello spungone, un fossile calcareo marino intercalato ad argilla tipico del terreno di Bertinoro. Sì avverte anche un’interessante graffio tannico e un’astringenza non proprio tipica dei vini a bacca gialla.
- Zavalloni – Amedeo – Cesena
Anche se l’azienda appartiene all’areale Cesenate, i vigneti sono situati a Monteleone (un paesino situato fra Sorrivoli e Roncofreddo). Il colore è intenso e ammaliante, oro zecchino. Il naso è tropicale, balsamico, profuma di glicine in fiore. In bocca troviamo un succoso mandarino e una sensazione iodata. La particolarità interessante è che questo vino non solo affina in barriques, ma negli stessi contenitori svolge anche la sua fermentazione alcolica.
- Tre Monti – Vitalba – Imola
Non possiamo fare a meno di ricordare Sergio mentre degustiamo questo masterpiece romagnolo. Con tanta passione i figli Vittorio e David stanno portando avanti l’egregio lavoro del padre e questo vino ne è un po’ l’esempio (nonostante sia un prelievo da vasca). 90gg di macerazione sulle bucce e poi affinamento sigillando le anfore per un periodo di 7-9 mesi. Il colore ha la lucentezza e brillantezza del topazio. Basta un’olfazione per essere invasi da sentori di cera d’api e propoli. Al gusto è pieno, deciso, morbido e avvolgente.
- Bissoni – Bissoni Riserva – Bertinoro
Si torna a Bertinoro per un passito d’eccellenza sintomo dell’amore che Raffaella trasmette all’interno suoi vini. Il ‘Sauternes Bertinorese’ attaccato da botrytis, ci ricorda l’albicocca disidratata, lo zafferano, i fichi secchi, e perché no il tartufo. Note anche fungine e di cipolla caramellata. In bocca divampa in un tripudio di emozioni.
Albana. Un vitigno identitario e rappresentativo, l’unica docg romagnola, la prima docg bianca italiana. Nonostante ciò, si è passati negli anni dagli oltre 9000 ettari vitati presenti alla nascita della denominazione, ai 900 o poco più ettari presenti oggi giorno. Che qualche produttore abbia smesso di crederci col passare degli anni è innegabile, ma è inutile cercare il colpevole. Noi siamo convinti che l’albana sia il futuro della Romagna e il nostro compito quello di promuoverla e divulgarla per l’Italia e per il mondo. Perché l’Albana è esattamente come noi Romagnoli, conviviale. Perché in Abruzzo ci siamo andati muniti di palline di impasto per piadina e piastra per cuocerla sul momento che abbiamo servito con lo squacquerone dell’azienda Mambelli e con il formaggio di fossa dell’azienda Brandinelli. Perché noi riusciamo a trasmettere il concetto di ospitalità anche quando siamo ospiti.
Albana di Romagna, tutta una questione di stile!